Per capire la triste storia dell’apartheid e di quello che ha significato volevo visitare le township in Sudafrica e l’occasione si è presentata durante il mio soggiorno a Cape Town.
Quando, dall’aeroporto della città si percorre la strada che porta verso la magnifica Table Mountain (simbolo di Città del Capo), si ha un’impressione molto cruda.
La strada costeggia Cape Flats, la più vasta area abitativa della città con i quartieri coloured, le township africane e gli insediamenti di baracche abusive…i luoghi dove i bianchi hanno scelto di relegare i “neri” lavoratori.
Assieme alla mia amica per fare un viaggio nell’ “Africa” vera non da sole, non è il caso, ma in sicurezza ci siamo affidate a Filippo Giancane, guida turistica di Africamore, che vi consiglio, per conoscere questa realtà senza correre alcun rischio. Chi meglio di Filippo, modenese che vive a Cape Town da più di 20 anni, poteva farci conoscere l’altra faccia di questa città.
Township in Sudafrica a Cape Town: origini dell’apartheid
La prima volta che si sentì parlare di apartheid fu da Jan Smuts, un militare afrikaner (di origine olandese, ma cittadino inglese) durante la seconda guerra boera del 1899-1902. Tale Jan Smuts divenne in seguito un politico sudafricano e Primo Ministro del Sudafrica dal 1919 al 1924 e dal 1939 al 1948. Egli, fermamente convinto della superiorità razziale dei coloni olandesi e dei loro discendenti, coniò il termine apartheid che dal 1948, dopo la vittoria del Partito Nazionale, divenne un sistema di governo.
Questa ideologia, influenzata dal nazismo, oltre a Smuts era appoggiata anche da altri afrikaner (coloni bianchi che costituivano non più del 9% della popolazione del Sudafrica) che all’apparenza volevano far credere di “far crescere in armonia” i vari gruppi etnici con le loro relative tradizioni, ma in realtà non era affatto così.
Nel 1950 una legge simbolo dell’apartheid decreta la classificazione razziale in bianchi, africani (africans), meticci (coloured) e indiani (indians) e ne decreta i diritti…dove poter abitare, che lavori fare, su quali mezzi poter salire e così via.
Township in Sudafrica a Cape Town: Langa, Nyanga, Philippi
Assieme a Filippo iniziamo la nostra visita alle township in Sudafrica partendo da Langa.
Addentrandoci tra gli agglomerati di baracche fatte di latta, cartone o legno, costruite con materiali di recupero e senza bagno notiamo subito che molte sono andate distrutte dal fuoco lasciando senza casa migliaia di persone.
A poche decine di metri da queste baracche in latta stimati professionisti vivono in villini di cemento, Filippo ci spiega che la convivenza è pacifica non c’è invidia. Qui tutti sono felici e lo vedi dai sorrisi sui volti delle persone che incontri. Un aspetto molto interessante è che “chi è riuscito a farcela” aiuta a crescere e a migliorare le condizioni degli abitanti del quartiere. Sono nate infatti diverse attività come i laboratori di musica, gallerie d’arte e anche i tour stessi fatti per i turisti che portano soldi alla comunità.
Gli abitanti di Langa hanno un forte senso di appartenenza e, sebbene nei decenni abbiano acquisito un rilevante potere economico, non abbandonano il loro quartiere d’origine.
Le township in Sudafrica, sono nate come luoghi dove i “neri” venivano confinati e sono in pratica delle città satellite separate dalle zone bianche da superstrade, ponti e tutto quello che mantiene le distanze.
Langa è la più antica township in Sudafrica esistente, nata prima ancora dell’apartheid come dormitorio per gli uomini “neri” che lavoravano nel porto e in zone industriali di Cape Town.
Non c’erano donne a vivere nelle township (cosi i “neri” non potevano aumentare di numero), esse potevano far visita ai loro uomini solo 12 giorni all’anno e la strada in cui avveniva il loro accesso è ora soprannominata la “via dell’amore”.
Ai cittadini africani neri era fortemente limitata la libertà di movimento e per potersi spostare dalle township per recarsi al lavoro dovevano esibire un documento chiamato “passaggio stupido” (in afrikaans: dompas) che evidenziasse in che zona lavoravano e quale fosse l’orario di lavoro, insomma un’ autorizzazione a trovarsi nelle zone dei bianchi in quegli orari. Dopo le ore 18 ogni lavoratore “nero” doveva tornare nella township pena 90 giorni di reclusione.
Il primo movimento contro la politica del pass iniziò proprio a Langa e vide marce di 30.000/ 60.000 persone che manifestarono contro questa ingiustizia sino al 21 Marzo del 1960 quando ci fu una dura repressione chiamata Sharpeville Massacre, dove la polizia sparò sui manifestanti neri. Il pass cessò di esistere nel 1986.
Filippo qui è molto conosciuto e non manca occasione di salutare i suoi amici ed io approfitto per scattare qualche foto, sempre se ben accetta.
Ci racconta del sistema di trasporto utilizzato solo dagli abitanti delle township e ci mostra la stazione centrale dei minibus taxi, dove si possono osservare le tante banchine affollate da centinaia di pulmini che attendono di partire e da migliaia di persone che fanno di tutto per accaparrarsi un posto sulla prossima corsa.
Passeggiando per la città troviamo negozi di tutti i generi, parrucchieri, take away, ristoranti improvvisati dove ci invitano ad entrare, ma Filippo ha le idee chiare su dove portarci.
Facciamo un po’ di spesa … compriamo il pane tipico, una specie di gnocco fritto, il pap, una polenta a base principalmente di farina di mais, che ci servirà da accompagnamento per il nostro Barbecue, la birra locale e infine ci trasferiamo nella township di Philippi dove scegliamo la carne cruda e la facciamo grigliare da una delle tante griglie fumanti.
Il barbecue in Sud Africa è un rituale sociale che permette di condividere un momento di convivialità. La ricchezza di questo paese è costituita dalle diverse culture e il Braai unisce e crea legami.
Potevamo non parteciparvi?!?
E dopo questo pranzetto “luculliano” Filippo, addentrandoci tra le baracche, ci porta a visitare la chiesa (se così si può chiamare) di Saint George.
Qui ci troviamo di fronte una scena surreale e alquanto dura da vedere. All’interno di questo spazio vengono portati dai genitori i ragazzi che rischiano di finire sulla “cattiva strada”, di fare uso di droghe o diventare delinquenti e qui vengono incatenati ai piedi per non poter scappare, sino a quando dopo qualche mese i genitori decidono di venire a riprenderli.
Nonostante la situazione ci accolgono sorridenti e due di loro improvvisano un piccolo concerto per noi.
Altri ragazzi ci mostrano le catene che legano i loro piedi e ci dicono che vorrebbero andare via ma che non sanno quando sarà loro possibile. Vedere questa realtà, per noi inimmaginabile è stato davvero difficile e toccante.
Filippo ci ha fatto fare anche un veloce passaggio in auto alla township di Nyanga, la più pericolosa del Sudafrica. Il suo nome in lingua Xhosa significa “luna”, anch’essa una delle più antiche township nere di Città del Capo che vide la sua espansione quando i migranti neri vi si trasferirono in quanto Langa era diventata troppo piccola.
Grazie alla nostra bravissima guida, Filippo, abbiamo avuto la possibilità di fare questo interessante viaggio nelle township di Cape Town e di scoprire una realtà che non immaginavamo.
Se stai organizzando un viaggio a Cape Town ti consiglio di dedicare una giornata alla visita delle sue township perchè Cape Town è anche questo!
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